Intermediazione finanziaria: la prova della consapevolezza della rischiosità dell’investimento
La Suprema Corte, con l’ordinanza n. 18122/2020 del 31.08.2020, ha ribadito che la dichiarazione resa dal cliente, su modulo prestampato della banca e da lui sottoscritto, in ordine alla propria consapevolezza circa la rischiosità dell’investimento suggerito e sollecitato dalla banca nonché riguardo l’inadeguatezza dell’investimento rispetto al suo profilo di rischio come investitore, non costituisce una dichiarazione confessoria perché si tratta di una dichiarazione rivolta alla formulazione di un giudizio e non all’affermazione di scienza e verità di un fatto obiettivo.
Per l’effetto, la sottoscrizione di tale dichiarazione non esonera la banca dall’onere di provare di aver adeguatamente informato l’investitore dei rischi connessi all’investimento e che l’investitore ha deciso, pienamente consapevole dei rischi, di procedere ugualmente con l’investimento. (cfr. in argomento anche Cass. 4620/2015 e 6142/2012).
In mancanza di detta prova, pertanto, la banca deve essere considerata inadempiente ai propri obblighi contrattuali e condannata a restituire integralmente il capitale investito e perduto a causa della rischiosità dell’investimento.
La fattispecie concreta riguardava i cd. “tango bond”, ossia l’investimento in titoli di stato argentini.
La Cassazione, respingendo il ricorso, conferma la condanna della banca a restituire l’intera somma investita dal cliente per effetto della risoluzione del contratto di investimento e delle singole operazioni di acquisto dei titoli a causa del grave inadempimento della banca agli obblighi contrattuali di informazione e di verifica dell’adeguatezza dell’investimento.