Il diritto al tempo del coronavirus – DL, DPCM e diritti fondamentali
Sin dall’inizio dell’emergenza sanitaria (30 gennaio 2020) il Governo ha deciso di affrontare il problema mediante l’utilizzo massiccio di due strumenti giuridici: il Decreto Legge (DL) ed il Decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri (Dpcm), ossia un atto legislativo previsto per i casi di “necessità ed urgenza” ed un atto politico/amministrativo utilizzato normalmente per adottare regolamenti di natura secondaria.
Si tratta di una scelta sbagliata che sta producendo pesanti conseguenze negative sull’ordinamento giuridico, sia a livello costituzionale sia in sede di applicazione pratica della normativa.
Per comprendere la situazione è necessario riepilogare brevemente i fatti.
Innanzitutto, l’azione del Governo può essere distinta in due fasi:
– la prima caratterizzata dal monopolio assoluto dell’intervento governativo, attuato mediante l’emanazione di un decreto-legge “quadro” (il n. 6/2020 del 23 febbraio) e di diversi Dpcm a questo successivi.
In questa fase, il Parlamento è stato relegato a mero spettatore, limitandosi a “ratificare”, in fase di conversione del decreto-legge, le scelte operate dal Governo;
– la seconda fase è stata caratterizzata da un recupero del ruolo del Parlamento, con l’introduzione (DL n. 19/2020) di un meccanismo di interlocuzione Governo – Parlamento in forza del quale il primo deve riferire alle Camere ogni 15 giorni le misure adottate ed i Dpcm devono essere comunicati alle Camere il giorno successivo alla loro pubblicazione.
Passando all’analisi dei provvedimenti emessi dal Governo, si deve rilevare che
– durante la prima fase i provvedimenti più importanti sono stati:
a) la Delibera del Consiglio dei Ministri del 31 gennaio con cui è stato dichiarato lo “stato di emergenza” (atto amministrativo);
b) il DL 23.02.2020 n. 6, poi convertito nella L. 05.03.2020 n. 13, con cui sono state previste le “misure urgenti per evitare la diffusione del COVID 19” nelle zone in cui fosse risultata positiva almeno una persona per cui non fosse nota l’origine del contagio.
Il decreto legge individuava (art. 1 comma 2) delle misure “tipiche” adottabili dall’Autorità amministrativa e misure “atipiche” (art. 2) lasciate alla piena discrezionalità della stessa Autorità amministrativa.
Infine, l’art. 4 comma 3 introduceva un illecito penale specifico conseguente al mancato rispetto delle misure di contenimento, facendo rinvio quoad poenam all’art. 650 cp.
c) il Governo, in forza del potere conferitogli dal DL all’art. 1, emanava i Dpcm del:
– 23 febbraio, del 25 febbraio e del 1 marzo con cui sono state progressivamente istituite le cd. “zone rosse” e “gialle” ed adottate le misure di contenimento;
– 8 e 9 marzo con cui le misure sono state estese a tutto il territorio nazionale, compreso il “divieto di spostamento delle persone fisiche” ed è stata introdotta la cd. “permanenza domiciliare” (art. 3 lett. m dpcm 8 marzo).
– durante la seconda fase (iniziata con il DL n. 19 del 25 marzo), il Governo ha:
a) riordinato le misure di contenimento, che sono state tipizzate;
b) escluso la possibilità di adottare “misure atipiche”;
c) stabilito che le misure di contenimento (art. 2) devono essere adottate mediante Dpcm “per periodi predeterminati, ciascuno di durata non superiore a 30 giorni, reiterabili e modificabili anche più volte, fino al 31 luglio 2020″ (data di scadenza dello stato di emergenza deliberato il 31 gennaio).
d) introdotto la misura della “quarantena”, ossia il “divieto assoluto di allontanarsi dalla propria abitazione o dimora per le persone risultate positive al virus” (art. 1 comma 2 lett. e)
e) stabilito che la violazione della quarantena configura illecito penale (art. 4 comma 6);
f) stabilito che la violazione di tutte le altre misure configura illecito amministrativo ed è quindi punita con sanzioni amministrative pecuniarie ed interdittive (sempre art. 4 comma 6);
g) stabilito che i Dpcm attuativi delle misure sono quelli già in vigore, ossia quelli emessi in data 8, 9 11 e 22 marzo 2020 la cui efficacia, con Dpcm del 1 aprile, è stata prorogata fino al 13 aprile;
h) abrogato integralmente il DL 6/2020 tranne l’art. 3 comma 6bis (che esclude la responsabilità da inadempimento del debitore ai fini degli artt. 1218 e 1233 c.c., ossia considera il rispetto delle misure di contenimento dell’epidemia causa di forza maggiore (v. post precedente in argomento).
– da ultimo, è intervenuto il Dpcm 10 aprile, che ha adottato, con alcune modifiche rispetto ai suoi predecessori, le misure previste dal DL 19 del 25 marzo 2020 (che non risulta ad oggi ancora convertito in legge), ha ampliato l’elenco delle aziende che possono rimanere aperte ed ha regolamentato le procedure sanitarie di ingresso in Italia di cittadini e stranieri provenienti dall’estero.
Riservando ad un momento successivo l’analisi delle fattispecie penali e delle misure di contenimento (soprattutto in relazione alla cd. autocertificazione richiesta ai cittadini), in questa sede va focalizzata l’attenzione sul fatto che la scelta di disciplinare giuridicamente l’emergenza a mezzo DL e Dpcm non è condivisibile in quanto pone gravi problemi di compatibilità con i principi costituzionali e di diritto internazionale relativi alla tutela dei diritti fondamentali dell’uomo.
Il tema è stato sottolineato da numerosi giuristi e colleghi in queste settimane, tra i quali pare opportuno citare, per chiarezza espositiva, il prof. Gatta, ordinario di Diritto penale all’Università degli Studi di Milano:
“… inquadrare l’attività di gestione normativa della pandemia nella prospettiva del diritto dell’emergenza è di cruciale importanza per garantire il rispetto di diritti fondamentali, che inevitabilmente subiscono limitazioni.
Contenere la diffusione del coronavirus richiede di evitare il più possibile i contatti sociali, trasmettendosi il virus, con estrema facilità, da un individuo all’altro.
Le azioni intraprese, in Italia come in altri paesi, prevedono l’adozione di misure che limitano l’esercizio di diritti e libertà fondamentali: libertà personale, libertà di circolazione, libertà di riunione, libertà di iniziativa economica, ecc.
Così come il diritto del terrorismo o della criminalità organizzata, il diritto del coronavirus è un diritto dell’emergenza, che comprime libertà fondamentali.
Ciò significa che anche a fronte dell’epidemia in atto si pone il problema dei confini entro i quali la limitazione, se non la privazione di quelle libertà, può dirsi compatibile con i principi superiori del sistema, previsti dalle costituzioni e dalle carte internazionali sui diritti umani…”
(cfr. Diritti fondamentali, coronavirus e quarantena” dd. 02.04.2020, in www.sistemapenale.it).
A livello costituzionale ed internazionale vengono, infatti, dettati i principi ed i criteri direttivi che stabiliscono fino a che punto ed in che modo il cd. diritto dell’emergenza può limitare i diritti fondamentali in uno stato democratico.
In altre parole, sempre citando il prof. Gatta, “ … le carte fondamentali si preoccupano così di fissare principi che individuino un accettabile punto di equilibrio tra la consacrazione di diritti e libertà (la regola) e la loro limitazione per ragioni dettate dalla necessità di fronteggiare emergenze che pregiudicano questo o quell’interesse pubblico, ritenuto preminente (l’eccezione).
A venire in rilievo è oggi la necessità, indifferibile, di tutelare la salute pubblica; così come nel passato si è trattato di tutelare, attraverso la legislazione dell’emergenza, l’ordine pubblico e la sicurezza pubblica, a fronte del terrorismo, politico prima, religioso poi, e della recrudescenza delle mafie.
E se nell’esperienza passata il diritto dell’emergenza mirava a prevenire e reprimere condotte criminali – contrastando questo o quel ‘nemico’ dello Stato – oggi ha invece come obiettivo quello di fronteggiare un fenomeno naturalistico, quale è la diffusione di un virus attraverso il contagio tra individui che hanno l’unico torto di avere avuto la sfortuna di averlo contratto, o di correrne soltanto il rischio.
Senza un nemico in carne d’ossa, l’esigenza di salvaguardare diritti e libertà individuali è allora, se possibile, ancor più forte …(op.ult.cit)
I testi normativi cui si deve, quindi, fare riferimento sono:
- la Costituzione
- la Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo
- la Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo adottata dall’ONU nel 1948 che è il testo principale in materia.
Ai sensi dell’art. 2 comma 1 della Costituzione, infatti “l’Italia RICONOSCE E GARANTISCE i diritti inviolabili dell’uomo, sia come singolo, sia nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalità”.
Ciò significa che I DIRITTI FONDAMENTALI NON SONO FRUTTO DI UNA CONCESSIONE DELLO STATO AL CITTADINO, MA PREESISTONO ALLA LEGGE STESSA CHE, PER TALE RAGIONE, LI DEFINISCE “INVIOLABILI” E, QUINDI, LI “RICONOSCE” E “GARANTISCE” (OSSIA NON LI CONCEDE).
Sul punto, con estrema chiarezza, nel Preambolo della Dichiarazione Universale dei Diritti Umani, si legge:
“… Considerato che il riconoscimento della dignità inerente a tutti i membri della famiglia umana e dei loro diritti, uguali ed inalienabili, costituisce il fondamento della libertà, della giustizia e della pace nel mondo;
Considerato che il disconoscimento e il disprezzo dei diritti umani hanno portato ad atti di bar-barie che offendono la coscienza dell’umanità, e che l’avvento di un mondo in cui gli esseri umani godano della libertà di parola e di credo e della libertà dal timore e dal bisogno è stato proclamato come la più alta aspirazione dell’uomo;
Considerato che è indispensabile che i diritti umani siano protetti da norme giuridiche, se si vuole evitare che l’uomo sia costretto a ricorrere, come ultima istanza, alla ribellione contro la tirannia e l’oppressione…”.
I diritti inviolabili e le libertà fondamentali sono previsti nella prima parte della Costituzione, in particolare:
- art. 2 : riconoscimento della natura inviolabile dei diritti fondamentali;
- art. 3: diritto di eguaglianza;
- art. 4: diritto al lavoro;
- art. 13: diritto alla libertà personale, definita inviolabile;
- art. 14: diritto alla inviolabilità del domicilio;
- art. 15: diritto alla libertà ed alla segretezza della corrispondenza;
- art. 16: diritto alla libertà di circolazione e soggiorno nel territorio dello stato, nonchè di entrata ed uscita dallo stesso;
- art. 17: diritto di libera riunione;
- art. 18: diritto di libera associazione;
- art. 19: diritto di libertà religiosa;
- art. 21: diritto di libera manifestazione del pensiero con ogni mezzo;
- art. 21: diritto alla libertà di stampa;
- art. 22: diritto alla capacità giuridica;
- art. 23: diritto a non essere sottoposti a nessuna prestazione personale o patrimoniale se non in base ad una legge;
- art. 24: diritto di difesa;
- art. 25: diritto al giudice naturale ed alla riserva di legge in materia penale;
- art. 27: diritto alla personalità della responsabilità penale e presunzione d’innocenza;
- art. 29: diritto alla famiglia e diritti della famiglia;
- art. 32: diritto alla salute;
- art. 33: diritto alla libertà di scienza e d’insegnamento;
- art. 34: diritto all’istruzione;
- art. 36: diritto del lavoratore alla retribuzione ed al riposo;
- art. 37: parità tra uomo e donna sul lavoro;
- art. 38: diritto alla previdenza sociale;
- art. 39: diritto di libertà sindacale;
- art. 40: diritto di sciopero;
- art. 41: diritto di libera iniziativa economica;
- art. 42: diritto alla proprietà privata;
- art. 47: diritto alla tutela del risparmio;
- art. 48: diritto al voto libero, personale, eguale e segreto;
- art. 49: diritto di libera associazione politica;
- art. 51: diritto di pari accesso agli uffici pubblici.
Si tratta dei diritti e delle libertà su cui si regge l’intera struttura della società democratica in cui viviamo, come le privazioni degli stessi attualmente in vigore dimostrano con grande evidenza.
In tutte e tre gli atti normativi citati è, poi, prevista una cd. “clausola di salvaguardia”, ossia una norma che stabilisce quando e come è possibile limitare i diritti e le libertà fondamentali.
Si tratta degli:
– art. 29 Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo:
“ Ogni individuo ha dei doveri verso la comunità, nella quale soltanto è possibile il libero e pieno sviluppo della sua personalità.
Nell’esercizio dei suoi diritti e delle sue libertà, ognuno deve essere sottoposto soltanto a quelle limitazioni che sono stabilite dalla legge per assicurare il riconoscimento e il rispetto dei diritti e delle libertà degli altri e per soddisfare le giuste esigenze della morale, dell’ordine pubblico e del benessere generale in una società democratica.
Questi diritti e queste libertà non possono in nessun caso essere esercitati in contrasto con i fini e principi delle Nazioni Unite”.
– art. 15 Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo rubricato “Deroga in caso di stato d’urgenza”:
” 1. In caso di guerra o in caso di altro pericolo pubblico che minacci la vita della nazione, ogni Alta Parte contraente può adottare delle misure in deroga agli obblighi previsti dalla presente Convenzione, nella stretta misura in cui la situazione lo richieda e a condizione che tali misure non siano in conflitto con gli altri obblighi derivanti dal diritto internazionale.
2. La disposizione precedente non autorizza alcuna deroga all’articolo 2, salvo il caso di decesso causato da legittimi atti di guerra, e agli articoli 3, 4 § 1 e 7.
3. Ogni Alta Parte contraente che eserciti tale diritto di deroga tiene informato nel modo più completo il Segretario generale del Consiglio d’Europa sulle misure prese e sui motivi che le hanno determinate. Deve ugualmente informare il Segretario generale del Consiglio d’Europa della data in cui queste misure cessano d’essere in vigore e in cui le disposizioni della Convenzione riacquistano piena applicazione”.
– art. 78 Cost.
“Le Camere deliberano lo stato di guerra e conferiscono al Governo i poteri necessari”.
Si noti che la Costituzione, da questo punto di vista, è il testo più stringato in quanto prevede un’unica situazione di emergenza per effetto della quale è possibile derogare ai diritti ed alle libertà fondamentali, ossia la guerra.
Peraltro, tale lacuna viene colmata ex art. 10 Cost. comma 1 il quale prevede che “ l’ordinamento giuridico italiano si conforma alle norme del diritto internazionale generalmente riconosciute” e quindi rende applicabili in Italia con rango di norme costituzionali sia la Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo sia la Convenzione Europea (peraltro entrambe espressamente riconosciute dal nostro Stato).
Di conseguenza, si deve fare riferimento soprattutto all’art. 15 della Conv. Europea dei Diritti Umani, in forza del quale “in caso di guerra o altro pericolo pubblico” è possibile “adottare misure in deroga agli obblighi” che la Convenzione impone agli stati contraenti (ossia all’obbligo di riconoscere i diritti e le libertà fondamentali come previsti nella Convenzione stessa).
Tali deroghe, alla luce della giurisprudenza elaborata nel tempo dalla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo e dalla Corte Costituzionale italiana, devono essere:
- previste da una legge che ne disciplini i presupposti e le modalità;
- ragionevoli ossia idonee rispetto allo scopo da perseguire;
- necessarie, ossia prive di alternative rispetto a misure che non compromettano o compromettano in modo minre le libertà ed i principi fondamentali;
- proporzionali rispetto alla scopo;
- temporanee;
- impugnabili, ossia soggette a ricorso avanti all’Autorità Giudiziaria;
- convalidate immediatamente da parte dell’Autorità Giudiziaria quando siano adottate in via d’urgenza e determinino la privazione della libertà personale (art. 13 Cost.).
Questi presupposti non appaiono rispettati dalla legislazione emergenziale emanata dal 31 gennaio in poi dal Governo italiano perchè:
1) il decreto legge è un atto legislativo ad iniziativa governativa e non parlamentare.
Quindi, l’attribuzione a mezzo DL da parte del Governo a sè stesso del potere di emettere atti amministrativi (i dpcm) che limitano i diritti e le libertà fondamentali non è conforme ai principi costituzionali suesposti in forza dei quali la libertà personale e di circolazione e soggiorno possono essere limitate solo per legge in casi specifici;
2) i Dpcm sono atti amministrativi e, quindi, non possono limitare le libertà fondamentali, se non in casi eccezionali e laddove tale potere sia conferito all’Autorità amministrativa espressamente dalla legge (e non da un DL emanato dallo stesso Governo);
3) nei DL e DPCM non è previsto nè un procedimento chiaro per l’applicazione delle misure limitative della libertà personale (in particolar modo la permanenza domiciliare e la quarantena) e, soprattutto, non ne è prevista nè l’adozione (nè la convalida entro 48 ore) da parte dell’Autorità Giudiziaria nel rispetto dell’art. 13 Cost.
A queste mancanze si aggiungono molteplici altri problemi relativi ai nuovi illeciti penali ed amministrativi previsti dai DL n. 6 del 23.02.2002 e n. 19 del 25.03.2020.
Per dare la misura della confusione giuridica creata si noti che il DL n. 6 è stato emanato il 23 febbraio, convertito in legge il 5 marzo ed abrogato (!!!) il 25 marzo mentre il DL n. 19 del 25 marzo (che ha abrogato il precedente) non è ancora stato convertito in legge.
Tutti questi problemi rendono molto difficile pensare che la disciplina dettata dal Governo a colpi di DL e DPCM possa essere efficace perchè i vizi da cui la normativa è affetta le impediranno molto probabilmente di avere una concreta efficacia sanzionatoria e, quindi, di produrre il necessario effetto dissuasivo sui cittadini (ossia non opererà il timore della sanzione).
Inoltre, vi è il rischio molto concreto di abusi nella compressione dei diritti fondamentali, le cui limitazioni – va detto con chiarezza – sono necessarie per attuare il cd. distanziamento sociale che allo stato è risultato essere la miglior difesa contro l’espansione del virus.
Infine, una legislazione caotica e frammentaria è sempre di difficile attuazione, sia per la Pubblica Amministrazione (che quindi rallenta inevitabilmente la propria azione) sia per i cittadini (che percepiscono la legge come ingiusta e, quindi, sono meno inclini a rispettarla.
Concludendo, va sottolineato che l’adozione di una legge quadro che delinei i confini dei poteri emergenziali attribuiti al Governo e le limitazioni del diritti fondamentali, non era (e non è tutt’ora) operazione troppo difficile.
Risulta, quindi, assolutamente necessario emanare al più presto una legge che si basi sui principi e le indicazioni ricavabili dalla giurisprudenza costituzionale e della CEDU creando così un sistema giuridico completo che possa mettere ordine nel caos odierno ed essere operativo (in futuro) sin dalla dichiarazione dello stato di emergenza.
Il sistema dovrebbe:
– prevedere una ripartizione chiara e precisa di competenze e poteri in capo al Governo ed agli altri Enti pubblici coinvolti;
– prevedere un elenco tassativo delle misure di contenimento adottabili che incidano sui diritti e le libertà fondamentali nei limiti ammessi da legge e giurisprudenza;
– prevedere procedure chiare, rapide ed uniformi di adozione delle misure di contenimento;
– prevedere procedure chiare, rapide ed uniformi di verifica della corretta adozione delle misure affidate all’Autorità Giudiziaria (ove esse incidano sulla libertà personale) o all’Autorità amministrativa (ove sia possibile applicare il meccanismo del cd. Ricorso gerarchico);
– essere coordinato con i poteri conferiti dalla legge ordinaria alle Regioni, ai Prefetti ed ai Sindaci in tema di adozione di misure a tutela della salute e dell’ordine pubblici;
– essere coordinato e permettere la rapida applicazione dei cd. “Piani di prevenzione anti epidemia / pandemia” che l’OMS sin dal 2003 (ossia subito dopo il verificarsi dell’epidemia causata dal virus cd. SARS) ha imposto a tutti gli Stati di adottare dettandone le linee guida nel 2005.
L’Italia ha predisposto l’ultima versione del proprio piano nel 2010.
Si noti, da ultimo, che in Gran Bretagna, il cui Primo Ministro è stato tanto criticato per l’atteggiamento fatalistico inizialmente assunto nei confronti dell’epidemia, il Parlamento inglese in data 25 marzo 2020 ha adottato il “Coronavirus Act 2020” che è una disciplina completa dell’emergenza in atto.
La legge inglese è consultabile liberamente al seguente link: http://www.legislation.gov.uk/ukpga/2020/7/contents/enacted
A tale ordinato e sistematico approccio normativo dovrebbe ispirarsi anche il legislatore italiano prima che il paese soccomba non a causa dell’epidemia, ma della babele giuridica creata nel tentativo di gestirla.
God bless the Queen, and Italy too