Il diritto al tempo del coronavirus – danni collaterali di una legislazione caotica
Il governo ha deciso di affrontare l’emergenza sanitaria in atto a colpi di decreti legge, dpcm e ordinanze varie.
Ossia, con una marea di atti normativi ed amministrativi in ordine sparso.
Di conseguenza, non tutti possono averne piena e chiara conoscenza.
Un chiaro esempio si può trarre dalla cronaca locale.
Il valido portale di informazione“Bassanonet” ha pubblicato ieri un articolo intitolato “Autoprotezione civile” in cui narra la disavventura occorsa ad un noto imprenditore locale che, dopo aver acquistato 150.000 mascherine chirurgiche in Cina allo scopo di regalarle ai comuni, alle associazioni di volontariato ed alle aziende di zona, se le è viste bloccate e destinate alla Protezione Civile all’arrivo in Dogana.
L’articolo si conclude definendo “incredibile” la vicenda e precisando che l’imprenditore considera “estremamente dannosa” la procedura adottata dalla Dogana.
Non si tiene conto, però, che ex art. 6 DL. 18 del 17.03.2020 il Governo ha espressamente attribuito alla Protezione civile il potere di “disporre, nel limite delle risorse disponibili … la requisizione in uso o in proprietà, da ogni soggetto pubblico o privato, di presidi sanitari e medico-chirurgici, nonché di beni mobili di qualsiasi genere, occorrenti per fronteggiare la predetta emergenza sanitaria, anche per assicurare la fornitura delle strutture e degli equipaggiamenti alle aziende sanitarie o ospedaliere ubicate sul territorio nazionale, nonché per implementare il numero di posti letto specializzati nei reparti di ricovero dei pazienti affetti da detta patologia.”
I successivi commi dello stesso articolo prevedono, altresì, che detti beni, se requisiti in proprietà, debbano essere pagati al “valore corrente di mercato” anteriore al 31 dicembre 2019.
Per l’effetto, la vicenda narrata da Bassanonet non è “incredibile”, ma perfettamente normale perchè il potere di requisizione è stato attribuito alla Protezione Civile dalla legge.
Le mascherine chirurgiche, infatti, sono un presidio sanitario (definirle “ad uso civile”, infatti, non ha senso perchè sempre di un presidio sanitario si tratta anche quando vengono destinate “ad uso militare” ossia all’esercito).
Si noti, poi, che la “requisizione” è istituto ben diverso dalla “confisca” erroneamente citata nell’articolo.
La requisizione viene disposta quando, per ragioni di emergenza, lo Stato deve utilizzare o fare proprio un bene privato senza il consenso del proprietario mentre la confisca è una sanzione comminata al proprietario di un bene a seguito dell’accertamento di una violazione (normalmente amministrativa, penale o tributaria).
La differenza è resa evidente dal fatto che nella requisizione lo Stato paga il prezzo del bene che acquisisce senza consenso.
Quanto, poi, al fatto che tale pratica sia “estremamente dannosa” va notato che l’istituto della requisizione è sempre stato utilizzato in tempo di guerra o di emergenza.
Inoltre, esso trova fondamento nell’ovvia esigenza di permettere allo Stato di utilizzare al meglio tutte le risorse disponibili per fare fronte all’emergenza.
E’ ben noto a tutti che le mascherine chirurgiche sono essenziali nella lotta al coronavirus e che devono essere fornite prima di tutto ai medici ed a tutti gli altri operatori sanitari (che stanno pagando un enorme ed ingiustificabile tributo di sangue all’assenza di adeguate protezioni).
Quindi, se lo Stato non ha mascherine a sufficienza, ha tutto il diritto di requisirle dai privati e destinarle all’uso migliore possibile nell’interesse della collettivita’.
Ciò significa che nella vicenda in questione non vi è nulla di incredibile nè di estremamente dannoso.
Purtroppo l’azienda ed il giornalista ignoravano l’art. 6 del DL 18/2020 (che ben potrebbe essere stato emesso quando l’azienda aveva già effettuato e pagato l’ordine delle mascherine considerati i tempi necessari al trasferimento delle merci dalla Cina all’Italia).
E lo ignoravano perchè la norma, che è di fondamentale importanza in un momento di emergenza come quello attuale, è sepolta in un decreto legge composto da 127 articoli e lungo 63 pagine che si aggiunge agli altri 50 e più provvedimenti legislativi ed amministrativi adottati in Italia dal 31 gennaio (dichiarazione dello stato di emergenza) ad oggi che occupano oltre mille pagine di testo.
Come dire … la babele giuridica dell’epidemia.