La rivolta nelle carceri e le responsabilità del Ministro Bonafede
Nei giorni scorsi l’emergenza “coronavirus” ha fatto passare in secondo piano quanto accaduto nelle carceri italiane ove si sono verificati gravissimi episodi di violenza, sfociati in vera e propria rivolta in alcuni istituti e con tanto di evasione di massa dal carcere di Foggia ( per maggiori dettagli di cronaca cfr. Coronavirus, la rivolta nelle carceri dopo la stretta su permessi e colloqui: “In caso di contagi non bastano le celle di isolamento” – Il Fatto Quotidiano).
Il bilancio, riferisce il Ministro in Parlamento, è di dodici morti, diciannove evasi, 6mila detenuti coinvolti nei disordini, 600 posti letto inagibili, danni per 35 milioni di euro cui si aggiungono 150.000 euro di psicofarmaci rubati.
Episodi tanto gravi e diffusi non si verificavano in Italia dagli anni bui del terrorismo.
Essi devono far riflettere sia per la rapidità con cui i rivoltosi sono riusciti nel loro intento, sia per il loro motivo scatenante, ossia le misure restrittive applicate ai reclusi per evitare il diffondersi del coronavirus che hanno fatto emergere, in tutta la sua drammaticità, il problema del sovraffollamento degli istituti di pena e della funzione rieducativa della pena prevista dalla Costituzione ma ancora molto lontana dalla pratica attuazione.
In argomento segnaliamo la dura critica all’operato del Ministro Bonafede comparsa su “Il Riformista” del 14 marzo a firma dell’avv. V. Spigarelli, già presidente dell’Unione delle Camere Penali Italiane, che si riporta per intero.
“BONAFEDE PAZIENZA FINITA : IL CAUDILLO DILETTANTE DEVE LASCIARE”
“Bisognerebbe segnarsi il nome: Bonafede Alfonso, occupazione ministro della Giustizia, come nei mattinali della questura. Poi, passata la bufera, rimesse a posto le cose, o magari subito, chiedere che uno dei peggiori ministri della storia repubblicana si faccia da parte. Non è infatti revocabile in dubbio che l’attuale ministro sia riuscito a dimostrarsi totalmente inadeguato sia prima che durante la crisi delcoronavirus. È bene tenere il conto delle imprese del caudillo della giustizia a 5 stelle, perché, altrimenti, visto anche lo sconto che gli fanno alcuni rappresentanti di vertice dell’avvocatura, poi uno se le dimentica al momento giusto e magari ce lo ritroviamo ministro ancora per un pezzo.
Bonafede è, per chi se lo fosse dimenticato, il ministro che fa sfilare un detenuto, Battisti, in manette, avanti a se stesso ai piedi della scaletta dell’aereo che ha riportato il detenuto in patria. Visto che c’è si traveste da agente della polizia penitenziaria accanto a Salvini mascherato da poliziotto. Poi manda su fb un video mentre Battisti sbriga le prime pratiche dell’arresto, con sottofondo musicale. Esibisce il suo trofeo: l’uomo in ceppi. Come in una repubblica centroafricana, e speriamo che nessuno, da quelle parti, si arrabbi per il paragone; o meglio come in una quadretto di Petrolini con lui nelle vesti di un imperatore romano della giustizia ai fori imperiali col barbaro in catene.
Bonafede si intesta, licenzia, sostiene, una norma incostituzionale, oltre che scritta male, che vuole applicare retroattivamente il regime carcerario dei mafiosi anche ai condannati per reati contro la pubblica amministrazione. Pure a quelli condannati per avere fregato le penne biro in ufficio o messo 10 euro di benzina di straforo. Poi, quando la Corte gliela boccia, dice che non si è sbagliato lui, ma la giurisprudenza precedente. Bonafede introduce una norma che estende l’uso del captatore informatico dentro casa dei cittadini e un’altra che blocca la prescrizione dopo la sentenza di primo grado, cose che tutto il mondo giuridico ritiene aberranti. Sulla prescrizione ha idee precise, anche se inguardabili, mentre sul dolo e la colpa è un tantino confuso.
Prima arriva a dire che quando non si riesce a dimostrare il dolo allora ci si deve accontentare della colpa, come se la seconda fosse una forma attenuata del primo, poi, dopo che sui social lo massacrano di meme irriverenti e in tanti ne chiedono le dimissioni, recita a soggetto un qualche appunto degli uffici ministeriali che tenta di metterci una pezza tirando in ballo il dolo eventuale e la colpa cosciente che c’entrano come i cavoli a merenda. Nel tentativo di uscire dal pantano giuridico in cui si è immerso se ne esce dicendo che da noi gli innocenti non vanno in carcere; da noi, nel paese dove – nonostante una giurisprudenza che in tutte le maniere mette i bastoni tra le ruote di chi vuole un ristoro per aver perso ingiustamente la libertà – gli indennizzi per ingiusta detenzione ammontano, dal 1992 a oggi, a oltre 600 di milioni di euro. Veniamo ai nostri giorni.
Scoppia la faccenda coronavirus e il nostro pencola tra la faccia feroce di chi vuole dimostrare che le cittadelle giudiziarie sono l’ultima ridotta della normalità e la presa d’atto che occorre chiudere baracca e burattini. Solo che come al solito non sa che fare perché gli mancano i fondamentali. E allora, orecchiando di qua e di là, alla fine fa una cosa pensando di averne fatta un’altra. Quando licenzia un decreto pasticciato annuncia urbi et orbi che, raccogliendo i suggerimenti dell’avvocatura, ha applicato la normativa sul periodo feriale dall’8 al 22 marzo.
Il che dovrebbe significare che anche la decorrenza dei termini processuali è sospesa. Questione importantissima per le attività giudiziarie poiché si applicherebbe anche al deposito degli atti di appello e ai ricorsi per Cassazione. Peccato che non è vero: ha sospeso solo i termini relativi ai processi che si rinviano, cioè praticamente niente. Di nuovo sui social lo massacrano dandogli dell’incompetente, i più educati. Nello stesso provvedimento sospende i colloqui tra i detenuti e i familiari che, a parole, sostituisce con colloqui telefonici o telematici ma lo fa senza preparare il campo predisponendo la concreta possibilità che questo avvenga.
Morale, i detenuti sono impossibilitati ad avere contatti con i familiari, o perlomeno così capiscono, e scoppia la rivolta nelle carceri. Muoiono tredici detenuti e il ministro di Giustizia che si affaccia su fb il 9 marzo fa la faccia dura, ringrazia mezzo mondo ma neppure cita i morti. Un silenzio gravissimo, che per la verità lo vede in buona compagnia, visto che affratella tutta la classe politica e i media che riportano appena la cosa senza chiedere spiegazioni. Nel decreto che pubblica, visto che c’è, scrive che i colloqui sono sospesi anche con le altre persone «cui hanno diritto i condannati, gli internati e gli imputati secondo l’articolo 18 dell’ordinamento penitenziario».
Cioè, a leggere la stessa norma, i difensori. Vai a capire se era questa l’intenzione ma quando è troppo è troppo, e quindi, dopo le prime incertezze e il conseguente caos, alla fine ogni direttore fa a modo suo: dapprima in alcune carceri gli avvocati entrano in altri no, poi entrano tutti. Del resto tutti capiscono che l’8 marzo per la giustizia si legge 8 settembre. Qualcuno si organizza per i fatti suoi perché comprende che del potere politico l’unica cosa certa è l’incompetenza. Il presidente della corte di Appello di Milano prende carta e penna e sospende i termini dal 2 al 31 marzo.
Dal canto loro 26 Procuratori generali chiedono di mandare a casa il personale che, pur di fronte a una attività ridotta, è comunque costretto a recarsi presso gli uffici giudiziari, cosa che non è stata regolata fin qui da chi avrebbe dovuto farlo. Basta, si potrebbe continuare, andando a ritroso, con qualche altra dimostrazione di inadeguatezza, o di dilettantismo, ma non serve la cronaca è sufficiente la storia.
Dicono tutti che stiamo in guerra e abbonda la retorica patriottarda (pure troppo quando porta a non considerare che questa voglia di uomini soli al comando e di spontanea pulsione all’abbandono dei diritti democratici deve pur essere moderata altrimenti ci abitua per via sanitaria a qualcosa che assomiglia troppo a uno Stato autoritario, ma questo è un altro discorso..) dunque, visto che dobbiamo stare a casa e abbiamo tempo, apriamo i libri di storia alla voce Caporetto. Allora, per vincere la guerra, ed era una guerra vera, hanno sostituito il comandante”.
Link all’articolo originale: https://www.ilriformista.it/bonafede-e-il-disastro-carceri-sue-azioni-hanno-causato-13-morti-dimissioni-subito-61891/2/