Compravendita di cereali – risarcimento del danno e condizioni generali di contratto: la “differenza prezzo”
Tribunale di Milano sentenza n. 10104/2015
La compravendita dei prodotti alimentari è regolata, nella maggior parte dei casi
dalle condizioni generali di contratto predisposte dalle associazioni di categoria.
Si tratta della cristallizzazione in forma contrattuale degli usi commerciali di settore, spesso molto risalenti nel tempo e, per la loro origine consuetudinaria, largamente diffusi anche a livello internazionale.
Le associazioni di categoria sono collegate alle borse merci ove i prodotti alimentari vengono scambiati e quotati in modo speculare a quanto accade nella borsa valori.
Per l’effetto, in questi contratti si assiste ad una commistione tra lo scopo naturale della compravendita, che è quello della cessione di un bene verso il pagamento di un corrispettivo, e l’intento speculativo proprio delle transazioni di borsa.
Di conseguenza, nelle condizioni generali di contratto è molto stretto il legame tra l’andamento del mercato, rappresentato dal listino di borsa, ed il risarcimento del danno.
Alla parte che subisce l’altrui inadempimento, infatti, spetta a titolo di risarcimento del danno subito la cd. differenza prezzo.
Tale istituto, oltre che dalle condizioni generali di contratto, è previsto anche dal codice civile, agli art. 1518, 1515 e 1516 c.c.
La differenza prezzo si identifica:
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nella differenza tra il prezzo contrattuale e la quotazione di borsa della merce oggetto del contratto nel giorno dell’inadempimento.
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nella differenza tra il prezzo contrattuale ed il prezzo di aggiudicazione della merce nel caso di cd. acquisto o vendita in danno, ossia nel caso in cui la parte adempiente si rivolga al mercato, nei giorni immediatamente successivi all’inadempimento, per acquistare/vendere la merce oggetto del contratto che la sua controparte contrattuale non ha consegnato/ritirato.
Risulta, quindi, evidente – anche alla luce del chiaro dettato delle norme citate – che nel primo caso la differenza prezzo quantifica il risarcimento presuntivamente, mentre nel secondo caso corrisponde all’effettivo esborso (o perdita) subita dalla parte adempiente.
In questo quadro si inserisce la questione affrontata dal Tribunale di Milano nella sentenza 10104/2015, resa a conclusione del procedimento n. 43150/2013 RG e passata in giudicato.
Parte venditrice, inadempiente a causa del proprio fornitore, aveva impugnato i lodi arbitrali di primo e secondo grado resi dai collegi arbitrali di una delle principali Camere Arbitrali di settore del Nord Italia che l’avevano condannata a risarcire a parte compratrice la somma di euro 150.000,00- circa a titolo di differenza prezzo, oltre interessi e spese.
Parte compratrice, per quantificare la propria pretesa risarcitoria, aveva fatto celebrare i cd. acquisti in danno, ossia si era rivolta al mercato per reperire la merce non consegnatale dalla venditrice.
Il prezzo di aggiudicazione dei pubblici incanti fatti celebrare dalla compratrice era risultato notevolmente superiore al prezzo contrattuale.
Parte venditrice, sin dal primo grado arbitrale, aveva contestato l’esistenza e l’ammontare del danno chiedendo che gli arbitri accertassero l’effettiva esecuzione dei contratti scaturenti dall’aggiudicazione della merce in sede di acquisto in danno.
I collegi arbitrali di primo e secondo grado avevano rigettato la domanda di parte venditrice e liquidato la differenza prezzo a favore della compratrice in base ai listini di borsa.
Il Tribunale di Milano ha annullato in toto i lodi arbitrali di primo e secondo grado per omessa pronuncia sulla domanda di accertamento dell’esistenza e dell’ammontare del danno formulata dalla venditrice e per dolo della compratrice perchè il risarcimento richiesto da quest’ultima era totalmente inesistente, anzi simulato.
Con accertamento tecnico preventivo ante causam, infatti, la venditrice aveva chiesto al Tribunale di verificare la sussistenza e la completezza della cd. tracciabilità della merce (seme di soia biologico) oggetto degli acquisti in danno. Il CTU nominato dal Tribunale aveva concluso per l’assoluta inesistenza del danno accertando che nessuno degli acquisti coattivi fatti celebrare dalla compratrice era mai stato eseguito.
In punto di diritto il Tribunale ha affermato che la scelta di parte compratrice di quantificare il proprio danno facendo celebrare gli acquisti in danno non permette al collegio arbitrale di discostarsi dal risultato di questi, liquidando la differenza prezzo in base al listino di borsa.
Facendo celebrare gli acquisti in danno, infatti, la parte adempiente ha scelto di quantificare il proprio danno in misura pari all’esborso ulteriore effettivamente subito rispetto al prezzo contrattuale.
Per l’effetto, se tale esborso è inesistente, perchè gli acquisti in danno non sono mai stati eseguiti e quindi il compratore non ha speso alcuna somma per procurarsi la merce oggetto del contratto non consegnatagli, egli non ha diritto ad alcun risarcimento non avendo subito alcun danno.
Tale conclusione è perfettamente in linea con il consolidato orientamento dottrinale e giurisprudenziale secondo cui la differenza prezzo da acquisto/vendita in danno è un danno reale, da accertare e quantificare secondo le regole generali (ossia verificando se esso sia conseguenza immediata e diretta dell’inadempimento ed accertandone la misura) e si differenzia, quindi, in modo radicale dalla differenza prezzo calcolata rispetto al listino di borsa del giorno dell’inadempimento, che è invece una presunzione di danno predeterminata dalla legge ossia è slegata dall’effettiva perdita patrimoniale subita dalla parte adempiente.
La questione suesposta è nuova in giurisprudenza, essendo stata affrontata, ma non negli stessi termini, solo da una sentenza della Suprema Corte di Cassazione nel 1954.
Inoltre, la sentenza risulta particolarmente significativa per le precise censure mosse al modus operandi dei collegi arbitrali di primo e secondo grado, di cui – a fronte del categorico ed aprioristico rifiuto di esaminare le domande avanzate dalla venditrice – viene stigmatizzato l’operato sia in relazione alla procedura seguita sia in relazione al merito della decisione che di fatto, omettendo il controllo sull’esecuzione degli acquisti in danno, ha avallato la frode posta in essere dal compratore.
Ancora, va sottolineato che, per effetto della sentenza, in capo a parte venditrice è sorto il diritto di ottenere dalla compratrice e dagli arbitri il risarcimento del danno subito.
Da ultimo, va ricordato che la sentenza in commento è solo la prima di una serie perchè la controversia tra le parti si è sviluppata in vari procedimenti arbitrali.
Parte compratrice, infatti, aveva richiesto la somma complessiva di circa 950.000,00- euro oltre interessi e spese a titolo di differenza prezzo asserendo di aver speso tale somma (oltre al prezzo contrattuale) per l’acquisto delle 6500 tm circa di merce non consegnatale dalla venditrice.
L’avv. Rebellato ha patrocinato la venditrice sia nella fase arbitrale che nella fase giudiziale.