Diritto Bancario – norme UE e danno agli azionisti: il caso BPVI
Nella giornata di sabato 5 marzo 2016 si è tenuta l’assemblea straordinaria della Banca Popolare di Vicenza che ha deliberato la trasformazione della banca in Spa, un aumento di capitale per oltre un miliardo e mezzo di euro e la quotazione della banca stessa in borsa.
L’assemblea straordinaria del 5 marzo 2016 si pone quale punto d’arrivo di un percorso iniziato un anno fa all’assemblea 2015, quando venne decisa la riduzione del valore delle azioni della banca da 62,50 a 48,00 euro in conseguenza delle criticità emerse per effetto dei controlli effettuati dalla BCE (cd. stress test) nell’autunno 2014. Banca Popolare di Vicenza, infatti, non superò i test.
Tale percorso si è concluso, come detto, con l’assemblea del 5 marzo 2016 ove il valore delle azioni per i soci che, non aderendo alla trasformazione in spa, intendessero esercitare il diritto di recesso, è stato fissato ad euro 6,30 per azione, ossia con una diminuzione di valore del titolo del 90% rispetto al gennaio 2015.
Tale situazione ha generato, nei ultimi mesi e soprattutto nelle ultime settimane, forti reazioni nell’opinione pubblica e, soprattutto, nei soci che avevano investito nelle azioni della banca nella convinzione di aver fatto un ottimo investimento, trattandosi di una banca popolare da sempre considerata alla stregua di una “cassaforte”.
Ciò ha posto la questione del diritto dei soci al risarcimento del danno subito.
A ciò si aggiunga che nel corso dei mesi, a partire dalla fine del 2014, ossia dalla diffusione della notizia del mancato superamento degli stress test, sono emersi fatti e circostanze – ancora al vaglio della magistratura – che hanno gettato un’ombra oscura sulla gestione dell’istituto di credito negli ultimi anni.
Molto è stato detto, in questi mesi, sui problemi della banca da parte di esponenti politici, associazioni dei consumatori, azionisti singoli ed associati e mezzi d’informazione locali e nazionali tanto da trasformare la vigilia dell’assemblea in una spasmodica “lotta” tra favorevoli e contrari alla trasformazione della banca in spa ed alla quotazione in borsa, con la sopravvivenza stessa dell’istituto messa in dubbio da più parti in caso di vittoria dei contrari alla trasformazione ed alla quotazione.
Da ultimo, pochi giorni prima dell’assemblea è pervenuta all’istituto una comunicazione della BCE che ventilava, in caso di mancata trasformazione in Spa, il commissariamento dell’istituto e l’applicazione del cd. bail in, ossia del meccanismo di risoluzione delle crisi bancarie previsto dalla Direttiva Europea n. 59/2014 ed attuato nel ns. ordinamento dal DLGS 181/2015 (entrato in vigore il 16 novembre 2015).
In forza di tale novella normativa, in caso di dissesto dell’istituto di credito vengono azzerati, per ridurre le perdite, anche tutti gli investimenti azionari ed obbligazionari dei clienti, con salvezza solo delle somme depositate sui conti correnti e sui conti di deposito nei limiti della garanzia del fondo interbancario (100.000,00- euro).
Tale procedura introdotta dal diritto comunitario è diretta conseguenza del divieto – sempre di origine comunitaria – per gli Stati nazionali di procedere al salvataggio degli istituti di credito in stato di dissesto mediante l’immissione negli stessi di denaro pubblico in quanto tale tipo di intervento viene considerato dal diritto comunitario quale “aiuto di stato” ossia quale illecita interferenza dell’istituzione pubblica nel libero mercato (in altre parole concorrenza sleale).
Per l’effetto, essendo impossibile l’intervento pubblico volto al risanamento degli istituti di credito che si trovano in grave difficoltà, la legge italiana avrebbe imposto a carico della banca l’apertura della procedura di liquidazione coatta amministrativa – equivalente alla procedura fallimentare.
La direttiva n. 59/2014 introduttiva del cd. “bail in”, quindi, mira ad evitare che ad un istituto di credito in stato di grave difficoltà economica, o meglio in stato d’insolvenza, venga applicata la procedura della liquidazione coatta amministrativa.
In sostanza, con la nuova disciplina, viene creata una “nuova” banca che si fa carico di tutti i rapporti giuridici in essere con la precedente, purchè la “vecchia” banca abbia “sacrificato” tutte le proprie risorse finanziarie (comprese azioni ed obbligazioni, ossia soldi investiti da terzi – i risparmiatori – nella banca stessa) per pagare i propri debiti (o per farlo almeno in parte).
L’applicazione della procedura di liquidazione coatta amministrativa, invece, prevede un iter diverso: i creditori vengono pagati, come in qualsiasi procedura fallimentare, all’esito della quantificazione del passivo e della successiva liquidazione dell’attivo.
Ciò significa che i creditori/risparmiatori verrebbero (se possibile) rimborsati – di quanto investito ad es. in obbligazioni – solo al termine della procedura.
In estrema sintesi, per tutelare la concorrenza l’Unione Europea ha vietato agli stati di “salvare” gli istituti di credito in difficoltà immettendovi direttamente risorse (e/o nazionalizzando la banca).
Per evitare il conseguente fallimento delle banche, e l’automatico blocco prolungato di tutti i rapporti giuridici in essere al momento del dissesto, l’Unione Europea ha deciso di “sacrificare” anche il denaro degli investitori, ossia di far pagare i debiti della banca anche a tutti coloro che in essa hanno investito, benchè ad essi non sia imputabile alcuna responsabilità nella causazione del dissesto dell’istituto.
L’ingiustizia morale e giuridica di tale scelta è evidente, ma sino ad una pronuncia di incostituzionalità della legge e/o ad una modifica/abrogazione della stessa, il quadro normativo è questo.
Tale lunga premessa è necessaria per comprendere il contesto in cui si inserisce la problematica della diminuzione di valore delle azioni emesse dalla banca vicentina e del conseguente diritto al risarcimento del danno subito da parte degli azionisti/investitori.
Stando alla missiva inviata dalla BCE a fine febbraio 2016 e resa pubblica in occasione dell’assemblea del 5 marzo, infatti, i coefficienti di solidità patrimoniale della Banca Popolare di Vicenza sono ben al di sotto del minimo previsto dalle norme europee da oltre sei mesi con conseguente rischio, secondo la BCE, di commissariamento della banca ed applicazione della normativa sul cd. bail in in caso di mancata trasformazione in spa e quotazione in borsa della stessa.
Per l’effetto, la decisione dell’assemblea societaria di procedere alla trasformazione della Banca in Spa ed alla quotazione in borsa sembra aver allontanato, almeno per il momento, il rischio della dichiarazione d’insolvenza (detto in maniera semplice, del fallimento) della banca.
In tale contesto di gravissima difficoltà per l’istituto di credito si innestato le controversie giuridiche in corso.
Da un lato, infatti, vi sono alcune Procure della Repubblica (Vicenza, Udine e Prato) che stanno indagando, a seguito di plurime segnalazioni provenienti sia da privati, sia da associazioni, sia dallo stesso sistema bancario, su notizie di reato relative al modo in cui è stata gestita la banca negli ultimi anni ed al perchè la stessa si trovi ora in gravi difficoltà economiche.
Le indagini, quando verranno concluse, potranno portare ad una richiesta di rinvio a giudizio a carico delle persone fisiche responsabili delle condotte contestate, cui seguirà un processo penale nel quale avranno la possibilità di costituirsi parte civile (anche se ciò dipende in parte dalla tipologia dei reati contestati) le persone danneggiate, ossia gli azionisti.
Questi ultimi, in caso di condanna dei responsabili, potranno chiedere – a costoro e agli eventuali responsabili civili (in ipotesi la banca stessa) il risarcimento del danno subito per effetto della condotta illecita accertata dal tribunale.
Va ricordato che il diritto al risarcimento del danno diviene certo solo a seguito di condanna definitiva, che potrebbe giungere anche dopo tre o quattro gradi di giudizio (primo grado – tribunale, secondo grado – corte d’appello, terzo grado – corte di cassazione – quarto grado – giudizio di rinvio in corte d’appello).
Il nostro codice attribuisce al giudice il potere, al momento dell’emissione della sentenza di condanna di primo grado, di concedere la cd. “provvisionale”, ossia di condannare in via provvisoria i responsabili al pagamento di un acconto sul risarcimento dovuto ai danneggiati.
Naturalmente, in caso di assoluzione degli imputati, anche in cassazione e/o in sede di rinvio, nessun risarcimento spetterebbe ai danneggiati i quali se avessero nel frattempo incassato una provvisionale sarebbero tenuti a restituirla.
Tali considerazioni rendono evidente che il processo penale non è la sede naturale per ottenere il risarcimento della perdita economica subita dagli azionisti a seguito della drastica diminuzione di valore delle azioni della banca.
Il processo penale, infatti, è la sede naturale per l’accertamento della responsabilità degli imputati quanto ai reati loro contestati dal Pubblico Ministero.
L’esercizio dell’azione civile, ossia dell’azione risarcitoria, in sede penale è solo eventuale. Ossia è una delle possibilità che la legge prevede perchè il danneggiato da una condotta (anche) penalmente rilevante possa ottenere soddisfazione delle proprie ragioni.
Si deve, poi, considerare il fatto che il risarcimento spettante ai danneggiati, liquidato dal giudice penale, non è – automaticamente – quantificabile in misura pari alla perdita patrimoniale subita dall’azionista-danneggiato per effetto della diminuzione di valore delle azioni, ma semplicemente correlato alla condotta illecita punita.
Nè potrebbe essere diversamente considerato che la perdita di valore delle azioni, se anche dovuta ad una pessima e/o fraudolenta gestione dell’istituto di credito (ad oggi ancora da accertare in sede penale) è e rimane una questione squisitamente civilistica tra la banca quale intermediario finanziario e il singolo cittadino quale investitore.
Ciò significa che ogni singolo investitore-azionista, se vuole tentare di ottenere soddisfazione delle proprie ragioni, dovrà agire giudizialmente in sede civile.
Risultano, a parere di chi scrive, poco inidonee a questo scopo le cd. class action perchè tale strumento è di recente introduzione nell’ordinamento giuridico italiano e non è ancora del tutto integrato nello stesso.
Inoltre, perchè questo strumento non si presta alla tutela delle ragioni di un alto numero di persone che, pur avendo subito tutti lo stesso tipo di danno (ossia una perdita patrimoniale), si trovano in posizioni diverse (dovute alla diversa entità e modalità dell’investimento effettuato ed alla differente situazione economico-giuridica di ciascuno).
E’, dunque, possibile concludere che il singolo socio-azionista danneggiato, se vuole ottenere soddisfazione delle proprie ragioni in via giudiziaria (e non semplicemente confidando nelle oscillazioni di borsa del titolo), dovrà intraprendere l’azione civile, pur avendo anche il diritto, e l’interesse, a partecipare ai procedimenti penali in corso.