Arbitrato – Ente ecclesiastico – legittimazione ad agire
Lodo Arbitrale 26/7/2010 – (avv. Savio – avv. Gasparini – avv. Rebellato)
Il lodo arbitrale in commento affronta la questione della legittimazione dell’ente ecclesiastico.
La questione della legittimazione va impostata sulla base dell’art. 7 comma 5 della L. 121/1985 di recepimento dell’Accordo tra lo Stato Italiano e la Santa Sede (cd. Accordo di Villa Madama) in forza del quale “l’amministrazione dei beni appartenenti agli enti ecclesiastici è soggetta ai controlli previsti dal diritto canonico”.
Questa norma introduce il cd. principio della rilevanza civile dei controlli canonici quale criterio regolatore dell’attività degli enti ecclesiastici nell’ordinamento giuridico italiano.
Si tratta di un’innovazione che è diretta conseguenza dell’abolizione di ogni forma di controllo statuale sugli enti ecclesiastici, in modo particolare della soppressione dell’autorizzazione al compimento degli atti eccedenti l’ordinaria amministrazione prevista dall’art. 30 comma 3 del Concordato del 1929.
Inoltre, il principio suddetto rientra a pieno titolo nella logica del nuovo sistema concordatario che è ispirata da un lato ad attribuire piena autonomia a Stato e Chiesa (art. 7 comma 1 Cost.), dall’altro all’attuazione della “reciproca collaborazione” prevista dall’art. 1 dell’Accordo (art. 1 L. 121/1985).
Mediante l’introduzione di tale principio, quindi, è stata riconosciuta la specialità degli enti ecclesiastici rispetto alle persone giuridiche di diritto civile italiano, come confermato dal Documento conclusivo del 24.02.1997 della Commissione paritetica Italia – Santa Sede (cd. Intesa interpretativa dell’Accordo di Villa Madama – cfr. Quad. dir. pol. eccl. 1997/2, 571).
Pertanto, per stabilire se un ente ecclesiastico sia legittimato ad agire nell’ordinamento giuridico italiano è necessario fare riferimento alla disciplina canonica della legittimazione ad agire ed, in particolare, alle norme relative agli atti dell’ente sottoposti a controllo/autorizzazione da parte di terzi, normalmente autorità gerarchicamente superiori.
La disciplina canonica dei controlli riguarda essenzialmente due categorie di atti: le alienazioni e gli atti eccedenti l’ordinaria amministrazione.
Per quanto rileva ai fini della legittimazione ad agire “in foro civili” va sottolineato che l’art. 5 comma 2 L. 222/1985 prevede che gli enti ecclesiastici sono obbligati all’iscrizione nel registro delle persone giuridiche da cui devono risultare “le norme di funzionamento ed i poteri degli organi di rappresentanza dell’ente” con la precisazione, nell’art. 18, che “ai fini dell’invalidità o inefficacia di negozi giuridici posti in essere da enti ecclesiastici non possono essere opposte a terzi, che non ne fossero a conoscenza, le limitazioni dei poteri di rappresentanza o l’omissione di controlli canonici che non risultino dal codice di diritto canonico o dal registro delle persone giuridiche”.
Quindi, non è sufficiente il mero controllo di quanto risulta nel registro delle persone giuridiche al fine di accertare la legittimazione dell’ente ecclesiastico perché la legge italiana considera il codice di diritto canonico fonte autonoma e conoscibile dai terzi quanto alle limitazioni del potere di rappresentanza ed all’omissione dei controlli canonici.
Pertanto, il giudice civile è chiamato ad applicare il diritto canonico al fine di verificare la legittimazione dell’ente ecclesiastico in sede civile.
Per quanto riguarda la legittimazione sostanziale va ricordato che per la miglior dottrina e giurisprudenza la mancanza della licentia canonica si configura quale causa di annullabilità del contratto. Ne risulta, infatti, viziata la capacità negoziale dell’ente, ma la relativa azione spetta, per il combinato disposto degli artt. 1425 e 1441 c.c., solo alla parte interessata ossia l’ente stesso. (cfr. in dottrina F. Finocchiaro, Diritto Ecclesiastico, Bologna, 2003, 368 nonché P. Cavana, Nota a Trib. Bologna n. 3132/2005 – Giust. Civ. 2006, 2929. In giurisprudenza, Cass. 5418/1993 in Riv.not. 1994, II, 1349ss).
Con riferimento al difetto di legittimazione processuale si deve invece osservare che nel Codice di Diritto Canonico vi è una norma espressa che il giudice civile, ex art. 18 L. 222/1985, è tenuto a conoscere ed applicare.
Si tratta del Can. 1288 in forza del quale “administratores litem nomine personae giuridicae publicae ne inchoent neve contestentur in foro civili, nisi licentiam scripto datam Ordinarii proprii obtinuerint”.
La mancanza di tale licentia assume rilevanza civile ex art. 18 L. 222/1985 perché contenuta nel CJC senza necessità di richiamo ad ulteriori fonti canoniche.
Quando l’ente rientra tra le persone giuridiche pubbliche di diritto canonico (cfr. Can. 113 §2, n. 114 § 1, n. 116 §1 e n. 515), questa norma trova applicazione in forza del combinato disposto dei cann. 1255, 1257 e 1258.
Non si può, però, considerare la “licentia in foro civili” alla stregua delle altre autorizzazioni canoniche, ossia come relativa alla capacità dell’ente e, per l’effetto, la sua mancanza come produttiva di annullabilità del negozio, perché essa non riguarda il rapporto giuridico di diritto sostanziale, mentre quello processuale è regolato da norme di diritto pubblico.
Pertanto, in forza del combinato disposto degli artt. 75 e 182 cpc la mancanza dell’autorizzazione canonica prevista dal ca. 1288 CJC è rilevabile d’ufficio dal giudice. Conforme, in giurisprudenza, Trib. Napoli 01.07.1974 in Dir.Eccl., 1974, II, 372ss; Pret. Piacenza n. 133/1999 in Quad.dir.pol.eccl. 2000, n. 3, 1000-1002 ed in dottrina, Cavana, nota cit. e dello stesso autore, “Attività negoziale degli enti ecclesiastici e regime dei controlli canonici” in Dir. Famiglia, 2007, 3, 1372.